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17 Settembre 2018

Dr.ssa Afrodita Alexe

Parlando dei disturbi della ghiandola tiroide, un ceno particolare merita la tiroidite di Hashimoto (o più genericamente sindrome di Hashimoto, morbo di Hashimoto), malattia tiroidea autoimmune ad oggi ancora sottostimata e diagnosticata tardivamente: le fonti statistiche dell’ISS (anche se non disponibili dati epidemiologici dettagliati) parlano di circa 6 milioni di italiani affetti da patologie della tiroide, di cui la tiroidite di Hashimoto rappresenta quasi la metà; più colpite le donne, in numero da 3 a 5 volte superiore rispetto agli uomini; anche se può comparire a tutte le età, l’incidenza aumenta con l’avanzare dell’età (fascia media 55-65 anni).

Definizione

La tiroidite di Hashimoto è una patologia data da un processo infiammatorio autoimmune con conseguente distruzione dei follicoli tiroidei; è caratterizzata da infiltrazione linfocitaria (da cui il nome di tiroidite linfocitica): nel tessuto tiroideo vi sono presenti cellule infiammatorie, di cui in modo predominante le linfociti B e T. Il processo infiammatorio innescato comporta alla fine la morte apoptotica dei tireociti, determinando la diminuzione della sintesi di ormoni tiroidei e l’aumento di rilascio della tireoglobulina nella circolazione sanguigna, da parte dei tireociti distrutti. Questo processo infiammatorio porta progressivamente ad una ipofunzione tiroidea che diventa irreversibile; quando la sintesi di ormoni tiroidei diventa insufficiente, si instaura l’ipotiroidismo.

I sintomi della tiroidite di Hashimoto

Clinicamente, nella maggior parte dei casi si osserva un ingrandimento non dolente della tiroide, con comparsa di gozzo; solo in pochi casi invece si assiste ad una progressione del cosiddetto gozzo verso l’atrofia. Spesso le persone accusano una sensazione di nodo in gola, come unico sintomo iniziale; del resto, se si esclude la comparsa del gozzo, per lungo tempo la malattia può essere asintomatica. E questo il motivo principale per il quale la malattia viene diagnosticata in maniera tardiva, solitamente quando il quadro clinico si è evoluto irreversibilmente verso l’ipotiroidismo, con la presenza dei segni e sintomi specifici. Spesso la tiroidite di Hashimoto è associata ad altri disturbi autoimmuni organo e non-organo specifiche, come il diabete mellito I, l’ipoparatiroidismo, il morbo di Addison, alcune malattie del connettivo (lupus sistemico, Sjogren, artrite reumatoide), la malattia celiaca; motivo per cui la diagnosi dev’essere necessariamente basata sulla ricerca differenziata dei segni e sintomi clinici attribuibili eventualmente alle altre patologie consociate.

I sintomi della tiroidite cronica sono: spossatezza e stanchezza; debolezza, dolore muscolare ed articolare; secchezza della pelle e mucose; indolenza, astenia e depressione; manifestazioni metaboliche (aumento di peso, intolleranza al freddo); indebolimento e diradamento dei capelli; irregolarità del ciclo mestruale; manifestazioni cardio-vascolari (bradicardia, ingrossamento del cardio); solo in alcuni casi, oftalmopatia simile a quella del morbo di Basedow.

Molto spesso i problemi relativi alla funzionalità tiroidea vengono individuati durante esami e test di routine oppure svolti per la diagnosi di altre patologie. La funzione tiroidea è valutata tramite esami del sangue specifici:

-TSH – di solito aumentato nell’ipotiroidismo

-Tiroxina T4 libera – di solito diminuita nell’ipotiroidismo primario

-T3 totale e libero – diminuito, ma nell’intervallo della soglia normale (quindi meno informativo del T4)

-anticorpi anti-tireoperossidasi (anti-TPO), test che rileva la presenza di anticorpi diretti contro le proteine presenti sulla superficie dei tireociti: il loro valore elevato indica un danno autoimmune come nel caso della tiroidite di Hashimoto

- anticorpi anti-tireoglobulina (TgAb), test che se risulta positivo può indicare la presenza della tiroidite di Hashimoto, tuttavia non è richiesto di routine in quanto non sensibile e specifico come l’anti-TPO

In alcuni casi, di incerto esito analitico, il medico può chiedere di eseguire l’ecografia della tiroide (per la valutazione dello stato infiammatorio-ipoecogeno, disomogeneo), e/o l’agoaspirato tiroideo (per la valutazione di noduli e la differenziazione diagnostica con neoplasie o linfomi tiroidei).

La cura della tiroidite di Hashimoto

Il trattamento della tiroidite di Hashimoto è sintomatico e include terapia ormonale sostitutiva con levotiroxina solo in precisi casi:

-ipotiroidismo franco;

-ipotiroidismo subclinico con TSH>10U/I

-donne in gravidanza e bambini affetti da ipotiroidismo.

La terapia sostitutiva è consigliata anche nelle persone con valori di TSH 4-10U/I con gozzo oppure che presentano sintomi collegati (astenia, obesità, dislipidemia) perché conduce al miglioramento di diversi parametri biologici (contrattilità cardiaca, assetto lipidico, performance mentale). Il trattamento con levotiroxina dà risultati migliori nel caso di un gozzo riscontrato recentemente, sia in termini di volume che di consistenza di esso; risultati meno positivi invece se il gozzo è di vecchia data, dato il grado di fibrosi irreversibile. La cura ormonale è mirata a ristabilire i valori del TSH a 1-2 U/I; il primo controllo anamnestico e analitico va fatto a 1 mese dall’inizio terapia, mentre una volta acquisito l’equilibrio dei valori analitici, sono sufficienti controlli a 6 – 12 mesi di distanza. Tuttavia si riscontra, nell’almeno il 40% dei casi di terapia ormonale sostitutiva, la scarsa aderenza alla terapia da parte delle persone, il motivo principale essendo proprio la mancanza dei controlli periodici della funzionalità tiroidea, con esami del sangue specifici, ciò comportando un insufficiente controllo del dosaggio del farmaco, con conseguente mancanza di response terapeutico. Si ribadisce quindi l’importanza del monitoraggio dei valori di T3-T4-TSH, nei termini e condizioni indicate dal medico endocrinologo.

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