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Drssa Afrodita Alexe

Uno degli esempi più frequenti di interazioni farmaco-farmaco vede protagonisti gli inibitori della pompa protonica: gli IPP ovvero la classe del pantoprazolo.

 

Cosa sono gli inibitori di pompa protonica?

Gli inibitori di pompa protonica (o pompa acida) sono farmaci che agiscono come protettori della mucosa gastrica avendo come meccanismo d’azione la riduzione del succo gastrico (formazione e rilascio) con conseguente aumento del pH nello stomaco ovvero modulazione dell’acidità gastrica: l’intento è di prevenire la comparsa di danni sulla mucosa dell’apparato digerente e soprattutto dello stomaco ed esofago.

I farmaci di questa classe sono il pantoprazolo, l’omeprazolo, il rabeprazolo, l’esomeprazolo e il lansoprazolo; sono molecole molto simili tra loro e largamente utilizzati in pratica clinica.

Il loro meccanismo d’azione si basa effettivamente sull’inibizione irreversibile della pompa protonica, ovvero dell’enzima H⁺/K⁺ ATPasi che è presente nelle cellule della parete gastrica e che ordina la produzione di succo gastrico, sia a digiuno (la secrezione acida basale) sia all’assunzione di cibo.

I danni potenzialmente indotti sulla mucosa gastro-esofagea dall’acidità gastrica - già di per sé importante (lo stomaco normalmente ha un pH basso, tra 1.5 e 3) - e dall’azione diretta del suco gastrico, possono aumentare in maniera sproporzionata all’assunzione di un farmaco con azione gastro-lesiva, come i FANs, gli antimicotici della classe dell’imidazolo, gli antimicrobici di ultima generazione, antipertensivi ed antiaritmici, antidepressivi maggiori, antidiabetici ecc.

L’incidenza e l’entità dei danni sulla mucosa gastro-esofagea indotta da questi farmaci sono in relazione stretta con il dosaggio, i tempi e le modalità di assunzione degli stessi nonché delle condizioni fisiologiche della persona in cura e non per ultimo dalla sua adesione alla terapia (ad esempio, assumere i farmaci dopo i pasti, regolare il regime alimentare e la quantità di sale sono regole generali di buona norma in una aderenza terapeutica ottimale).

Le linee-guida di cura e prevenzione per moltissime patologie con terapie comportanti dei rischi per l’apparato digestivo prevedono l’associazione in terapia dei protettori gastrici: di cui gli IPP sono di gran lunga i più prescritti (anche se negli ultimi anni l’OMS ne ha consigliato il ridimensionamento dei tempi di somministrazione).

Le indicazioni terapeutiche degli IPP

Gli inibitori di pompa protonica – IPP – hanno come principali indicazioni terapeutiche la cura e prevenzione di

  • ulcera gastro-esofagea e duodenale (inclusa la prevenzione del danno gastrico potenzialmente indotto da altri farmaci, come i FANs)
  • MRGE
  • sindrome di Zollinger-Elisson (malattia da ipersecrezione gastrica)
  • eradicazione del Helicobacter pylori (in associazione agli antibiotici), nella cura e prevenzione delle ulcere gastriche

Le reazioni avverse degli IPP

Anche se generalmente molto ben tollerati, gli IPP possono causare delle reazioni indesiderate ed effetti avversi come la secchezza delle mucose, mal di testa, stitichezza o diarrea, nausea e vomito, crampo addominale e flatulenza, reazioni allergiche; e a lungo andare danni epatici e renali, eruzioni cutanee, anomalie del sangue.

I possibili effetti dannosi degli IPP a lungo termine sono dettati principalmente dalla loro azione di riduzione dell’acidità gastrica: di cui il corpo umano ha bisogno per difendersi dall’intrusione di microorganismi, per digerire i cibi, per far assorbire altre sostanze (tra cui anche farmaci) e portarli nella parte inferiore del tubo digerente.

Riducendo l’acidità gastrica infatti gli IPP possono interferire con l’assorbimento e la veicolazione della vitamina B12magnesioferro, calcio; inoltre possono indurre fenomeni di malassorbimento intestinale e vari gradi di disbiosi o alterazioni del microbiota intestinale.

Le interazioni degli IPP con altri farmaci

Un primo gruppo di interazioni riguardanti altri farmaci in assunzione contemporanea vede in primo piano le interferenze nell’assorbimento gastrico di antibiotici, antivirali, antifungini, antidepressivi, cardiotonici (digossina), anticoagulanti; che hanno bisogno di una corretta acidità gastrica per essere assorbiti e veicolati ai tessuti ed organi-target.

Vi è nota l’interazione con la warfarina (Coumadin) per il quale si potrebbero rendere necessari controlli più ravvicinati per stabilirne il dosaggio efficace, anche giorno per giorno.

Un altro esempio documentato in pratica clinica si riferisce alla co-somministrazione di IPP con L-tiroxina (Eutirox): si è dimostrata la necessità di aumentare le dosi dell’ormone tiroideo a fronte della co-associazione in terapia con omeprazolo o pantoprazolo (Endocr Pract 2007; 13:345-9, Sachmechi I et al)

Un secondo gruppo di interazioni farmacologiche si riferisce alle interferenze nel metabolismo dei farmaci, tramite meccanismi di competizione per gli stessi sistemi enzimatici dei citocromi (siti dove hanno luogo le varie reazioni di trasformazione delle molecole) con possibile aumento o riduzione degli effetti dei farmaci stessi: con particolare riguardo ai pro-farmaci (che per diventare farmacologicamente attivi devono essere trasformati in questi siti); le segnalazioni più frequenti riguardano

  • benzodiazepine
  • macrolidi (azitromicina, eritromicina)
  • diidropiridine (nifedipina, amlodipina)
  • statine (atorvastatina, simvastatina; con rischio aumentato di miosite)
  • anticoagulanti ed antiaggreganti piastrinici (clopidogrel, ASA; con rischio aumentato di eventi ischemici ricorrenti)

Un’altra interazione documentata in pratica clinica riguarda l’associazione in terapia di IPP e bifosfonati (alendronato, ibandronato) prescritti per ridurre il rischio di fratture ossee: gli IPP in co-associazione ai bifosfonati possono ridurre l’efficacia degli ultimi, probabilmente sia per riduzione dell’assorbimento del calcio e vitamina D sia per riduzione dell’assorbimento del fosfonato stesso.

Come si può ridurre il rischio delle reazioni indesiderate ed interazioni potenzialmente nocive?

In primo piano si evidenzia l’aderenza alla terapia: in termini di costanza e precisione nell’assunzione dei farmaci prescritti, nelle dosi e tempi indicati dallo specialista; altrettanto importante è segnalare tempestivamente allo specialista tutti i segni clinici avvertiti, in maniera da poter intervenire correggendo il percorso terapeutico.

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