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21 Maggio 2025

la tiroide  ei suoi minerali

Dr.ssa Afrodita Alexe

La tiroidite di Hashimoto (o Sindrome di Hashimoto, Morbo di Hashimoto): definizione, cause, cenni storici

La Tiroidite di Hashimoto è una malattia autoimmune della ghiandola tiroide, che consiste in una condizione di infiammazione cronica tiroidea con alterazione della produzione di ormoni tiroidei, dovuta all'azione del sistema immunitario che produce anticorpi rivolti contro le cellule tiroidee.

La tiroidite di Hashimoto fu descritta per la prima volta nel 1912 dal medico giapponese H. Hashimoto (da cui il nome); nel corso dei decenni successivi, numerosi studi scientifici ed epidemiologici hanno contribuito ad inquadrare in maniera più precisa la malattia, le sue cause e la sua impronta socio-sanitaria a livello globale.

Tuttavia, ancora oggi la tiroidite di Hashimoto è sottostimata e diagnosticata tardivamente: le fonti statistiche dell’ISS (anche se non disponibili dati epidemiologici dettagliati) parlano di circa 6 milioni di italiani affetti da patologie della tiroide, di cui la tiroidite di Hashimoto rappresenta quasi la metà; più colpite le donne, in numero da 3 a 5 volte superiore rispetto agli uomini; anche se può comparire a tutte le età, l’incidenza aumenta con l’avanzare dell’età (fascia media 60 anni per gli uomini; dopo i 45 anni o con la menopausa, per le donne).

Le cause della tiroidite di Hashimoto non sono ancora del tutto chiare e sono tuttora oggetto di ricerca scientifica, la quale ha evidenziato come:

-- i meccanismi di sviluppo della malattia comprendono processi immunologici sia umorali che cellulo-mediati e sono organo-specifici; è presenta una significativa correlazione con la presenza di altre malattie autoimmuni (dell'apparato cutaneo ed annessi - vitiligine, alopecia; metaboliche - diabete tipo I; endocrine - malattia di Addison; del sistema osseo - artrite reumatoide; sistemiche - lupus; ed a.)

-- al fattore genetico-immunologico si aggiungono quelli ambientali/nutrizionali che causano ulteriormente perdita di tolleranza immunologica (l'incidenza della malattia è più alta nelle zone geografiche con ridotto apporto alimentare di iodio e/o selenio; nelle popolazioni carenti di vitamina D; ed a.)

-- da recenti studi epidemiologici emerge la connessione tra lo sviluppo della malattia e pregresse infezioni virali (come l'infezione virale Epstein-Barr o mononucleosi infettiva)

-- nel tratto intestinale si verifica una reazione del tessuto linfoide associato all’intestino (GALT, Gut-Associated Lymphoid Tissue): gli enterociti della mucosa intestinale innescano una risposta immunitaria verso gli antigeni dei nutrienti e del microbiota intestinale; l'attivazione del GALT si traduce per iper-reattività, alterazioni della permeabilità intestinale, disfunzioni del microbiota intestinale con innesco e sviluppo della tiroidite, specie nelle persone affette da celiachia , sindromi infiammatorie croniche dell'intestino (IBS, Morbo di Crohn ed a.) 

L'influenza reciproca tra la funzione tiroidea e il microbiota intestinale è stata dimostrata ampiamente e dettagliatamente: cosicché alcuni autori hanno coniato il termine "asse intestino-tiroide" (*Virili, C., 2024)

-- una concausa importante è rappresentata dalle terapie immuno-modulatorie come le terapie con irradiazioni, il litio (*Ragusa, F., 2019), interferoni- IFN-α (*Weetman, A. P., 2021)

I meccanismi fisiopatologici della tiroidite di Hashimoto

La tiroidite di Hashimoto è una patologia data da un processo infiammatorio autoimmune con conseguente distruzione dei follicoli tiroidei; è caratterizzata da infiltrazione linfocitaria (da cui il nome di tiroidite linfocitica): nel tessuto tiroideo vi sono presenti cellule infiammatorie, di cui in modo predominante i linfociti B e T.

Il processo infiammatorio innescato comporta alla fine la morte apoptotica dei tireociti, determinando la diminuzione della sintesi di ormoni tiroidei e l’aumento di rilascio della tireoglobulina nella circolazione sanguigna, da parte dei tireociti distrutti.

Più in dettaglio, si verifica l'alterazione diretta della funzione delle cellule follicolari attraverso le azioni di citochine di segnalazione come le interleuchine ( IL-17, IL-22 prodotte dalle cellule T Helper) o i fattori TNF-α e IFN-γ,  i quali inducono l’infiltrazione di chemochine con conseguente citotossicità e apoptosi (*Chaker, L., 2022); le citochine derivate dall'infiltrato linfocitario determinano la stimolazione delle cellule tiroidee stesse a rilasciare mediatori pro-infiammatori, sostenendo e incrementando così la risposta autoimmune (*Ajjan, R.A., 2015);  inoltre è stata evidenziata un'ulteriore cascata proinfiammatoria legata ad un'espressione aumentata di molteplici recettori NLR (che inducono l'attivazione dell'inflammasoma) e delle loro citochine associate, cascata che a sua volta contribuisce alla morte cellulare (*Guo, Q., 2018)

Questo processo infiammatorio porta progressivamente ad una ipofunzione tiroidea che diventa irreversibile; quando la sintesi di ormoni tiroidei diventa insufficiente, si instaura la condizione di ipotiroidismo conclamato.

I sintomi e segni clinici della tiroidite di Hashimoto

I sintomi della tiroidite di Hashimoto sono:

-- spossatezza e stanchezza;

-- debolezza, dolore muscolare ed articolare;

-- indolenza, astenia e depressione;

-- secchezza della pelle e mucose;

-- manifestazioni metaboliche (aumento di peso, intolleranza al freddo);

-- indebolimento e diradamento dei capelli;

-- irregolarità del ciclo mestruale;

-- manifestazioni cardio-vascolari (bradicardia, ingrossamento del cardio);

-- solo in alcuni casi, oftalmopatia simile a quella del morbo di Basedow.

Dal punto di vista clinico, nella maggior parte dei casi si osserva un ingrandimento non dolente della tiroide, con comparsa di gozzo; solo in pochi casi invece si assiste ad una progressione del cosiddetto gozzo verso l’atrofia.

Spesso le persone accusano una sensazione di nodo in gola, come unico sintomo iniziale; del resto, se si esclude la comparsa del gozzo, per lungo tempo la malattia può essere asintomatica: è questo il motivo principale per il quale la malattia viene diagnosticata in maniera tardiva, solitamente quando il quadro clinico si è evoluto irreversibilmente verso l’ipotiroidismo, con la presenza dei segni e sintomi specifici.

Molto spesso la tiroidite di Hashimoto è associata ad altri disturbi autoimmuni organo e non-organo specifiche, come il diabete mellito I, l’ipoparatiroidismo, il morbo di Addison, alcune malattie del connettivo (lupus sistemico, Sjogren, artrite reumatoide), la malattia celiaca; motivo per cui la diagnosi dev’essere necessariamente basata sulla ricerca differenziata dei segni e sintomi clinici attribuibili eventualmente alle altre patologie consociate.

 

La diagnosi e le analisi del sangue per la tiroidite di Hashimoto

La tiroidite di Hashimoto è caratterizzata dalla presenza di specifici anticorpi, uno contro l'enzima tireo-perossidasi microsomiale (anti-TPO), uno contro la tireoglobulina (anti-TG) e l’altro contro il recettore del TSH.

Gli anticorpi anti-TPO sono più comuni degli anticorpi anti-TG (95% vs 60%) (*Bello, F., 2012).

Molto spesso i problemi relativi alla funzionalità tiroidea vengono individuati durante esami e test di routine oppure svolti per la diagnosi di altre patologie; la funzione tiroidea è valutata tramite esami del sangue specifici:

-TSH – di solito aumentato nell’ipotiroidismo

-Tiroxina T4 libera – di solito diminuita nell’ipotiroidismo primario

-T3 totale e libero – diminuito, ma nell’intervallo della soglia normale (quindi meno informativo del T4)

-anticorpi anti-tireoperossidasi (anti-TPO), test che rileva la presenza di anticorpi diretti contro le proteine presenti sulla superficie dei tireociti: il loro valore elevato indica un danno autoimmune come nel caso della tiroidite di Hashimoto

- anticorpi anti-tireoglobulina (TgAb), test che se risulta positivo può indicare la presenza della tiroidite di Hashimoto, tuttavia non è richiesto di routine in quanto non sensibile e specifico come l’anti-TPO

In alcuni casi, di incerto esito analitico, il medico può chiedere di eseguire l’ecografia della tiroide (per la valutazione dello stato infiammatorio-ipoecogeno, disomogeneo), e/o l’agoaspirato tiroideo (per la valutazione di noduli e la differenziazione diagnostica con neoplasie o linfomi tiroidei).

La cura della tiroidite di Hashimoto

Il trattamento della tiroidite di Hashimoto è sintomatico e include terapia ormonale sostitutiva con levotiroxina solo in precisi casi:

-ipotiroidismo franco;

-ipotiroidismo subclinico con TSH>10U/I

-donne in gravidanza e bambini affetti da ipotiroidismo.

La terapia sostitutiva è consigliata anche nelle persone con valori di TSH 4-10U/I con gozzo oppure che presentano sintomi collegati (astenia, obesità, dislipidemia) perché conduce al miglioramento di diversi parametri biologici (contrattilità cardiaca, assetto lipidico, performance mentale).

Il trattamento con levotiroxina dà risultati migliori nel caso di un gozzo riscontrato recentemente, sia in termini di volume che di consistenza di esso; risultati meno positivi invece se il gozzo è di vecchia data, dato il grado di fibrosi irreversibile.

La cura ormonale è mirata a ristabilire i valori del TSH a 1-2 U/I; il primo controllo anamnestico e analitico va fatto a 1 mese dall’inizio terapia, mentre una volta acquisito l’equilibrio dei valori analitici, sono sufficienti controlli a 6 – 12 mesi di distanza.

Tuttavia si riscontra, nell’almeno il 40% dei casi di terapia ormonale sostitutiva, la scarsa aderenza alla terapia da parte delle persone, il motivo principale essendo proprio la mancanza dei controlli periodici della funzionalità tiroidea, con esami del sangue specifici, ciò comportando un insufficiente controllo del dosaggio del farmaco, con conseguente mancanza di response terapeutico.

Si ribadisce quindi l’importanza del monitoraggio dei valori di T3-T4-TSH, nei termini e condizioni indicate dal medico endocrinologo.

L'alimentazione per la tiroidite di Hashimoto: cibi sì e cibi no

Una delle cause comuni di ipotiroidismo nel mondo è rappresentata dalla carenza di iodio, un elemento chimico essenziale per la corretta funzionalità della ghiandola tiroidea.

L’organismo ricava lo iodio dagli alimenti, di cui i più ricchi sono

-- il pesce, i crostacei, i molluschi;

-- la carne (pollo, maiale);

-- latte, uova;

-- verdura fresca, ortaggi;

-- legumi;

-- cereali integrali;

-- il sale marino iodato.

Il fabbisogno giornaliero di iodio (*tabelle LARN, ISS) è stimato a circa 150mcg ed aumenta fino a 200mcg in gravidanza e allattamento, data l’importanza di questo elemento chimico nello sviluppo fisico e neurologico nel bambino.

Inoltre, la dieta dovrebbe contenere i cibi ricchi di nutrienti che possono ridurre lo stato infiammatorio (frutta fresca, frutta secca, legumi, noci, semi) in proporzioni e quantità equilibrate e in base alla predisposizione individuale.

Tra i cibi la cui assunzione dovrebbe essere limitata o evitata si contano:

-- gli alimenti con attività gozzigena/goitrogena (latticini, soia, le crucifere - cavolo, verza, cavoletti, broccoli ecc)

-- zuccheri e cereali raffinati, 

-- alimenti processati, in conserva, in scatola, insaccati, salumi

-- cibi ricchi di istamina (funghi, affettati, cacao, formaggi stagionati)

-- caffè

-- alcol (può interferire con l'assorbimento dello iodio)

Per la gestione del regime dietetico-alimentare della tiroidite di Hashimoto, è fondamentale seguire una dieta equilibrata e variata, evitando di eliminare completamente interi gruppi di alimenti; si rende necessaria la consultazione con il biologo nutrizionista in grado di individuare le eventuali sensibilità alimentari e realizzare un piano alimentare personalizzato da monitorare ed aggiornare ogni qualvolta richiamato in follow-ups sequenziati nel tempo.

 

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fonti essenziali

msdmanuals.com

*researchgate.net

*https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/

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