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Il test RECALLER 2.0 consiste nel dosaggio delle immunoglobuline G, dei fattori dell’infiammazione BAFF e PAF e sulla lettura del gene TNFSF13B, basandosi su razionamenti scientifici dimostrati e validati dalla ricerca scientifica e dagli studi specialistici clinici:

  • Immunoglobuline G – alimento-specifiche, sono proteine con funzione di anticorpi che vengono rilasciate normalmente nell’organismo in seguito all’assunzione degli alimenti; il loro livello aumenta esponenzialmente all’introduzione costante e ripetitiva di un certo alimento o gruppo alimentare; il loro dosaggio viene utilizzato come indicatore di consumo alimentare, in maniera da permettere la revisione dell’introduzione di quei particolari alimenti e come conseguenza la riduzione dei sintomi da infiammazione
  • BAFF e PAF: l’introduzione costante nel tempo di un certo tipo di cibo induce l’attivazione del sistema immunitario che scatena la reazione infiammatoria; in sequenza, i processi biochimici a livello cellulare cominciano con l’attivazione dei toll-like receptors (TLR1-10, famiglia di recettori cellulari in grado di riconoscere determinate configurazioni molecolari);  la conseguente produzione di BAFF (B-cell Activating Factor, proteina transmembrana della famiglia delle TNF-α, citochine proinfiammatorie e immunoregolatorie) in quantità elevate induce l’attivazione dei linfociti B con produzione di autoanticorpi e successiva formulazione di complessi immunologici con coinvolgimento delle immunoglobuline G; inoltre ha luogo l’attivazione di PAF (Platelet Activating Factor, fattore attivante le piastrine), un gruppo di fosfolipidi con similarità strutturale coinvolti nella mediazione della risposta infiammatoria e della reazione allergica da cibo.
  • il gene TNFSF13B codifica la sintesi della BAFF; la presenza di polimorfismo (variazioni strutturali) in questo gene è correlata al rischio di sviluppo di autoimmunità, determinando l’aumento esponenziale di BAFF circolante con espressione in comparsa dei sintomi infiammatori.

Il Test RECALLER 2.0 è indicato per valutare il livello di infiammazione in:

  • disturbi e malattie dell’apparato gastro-intestinale (IBS, malattia di Crohn, il gruppo delle MRGE, gastrite cronica, sindrome da malassorbimento, stipsi cronica, alvo irregolare non diversamente diagnosticato, disturbi del cavo orale ecc)
  • disturbi delle vie aeree (infezioni ripetute, tosse non diversamente diagnosticata, roncopatie, allergie a forma mista, manifestazioni asmatiche)
  • malattie autoimmuni (artrite, fibromialgia e gruppo dei disturbi muscolo-scheletrici – dolore muscolare ed articolare non diversamente diagnosticati, lupus eritematoso sistemico, disturbi psoriasiformi, tiroiditi)
  • disturbi dell’apparato cutaneo ed annessi (acne, rosacea, dermatiti ed eczemi cronici, caduta cronica dei capelli, infiammazioni croniche della mucosa oculare espresse per calazi e orzaioli ecc)

In base alla lettura dei risultati viene redato il Profilo alimentare individuale con il Piano di recupero dela tolleranza e reintegrazione alimentare: indicazioni per l’attuazione della dieta a rotazione e reinserimento graduale degli alimenti con consigli specifici riguardo al bilanciamento dei pasti e l’equilibrio nell’assunzione.

Infiammazione da cibo: i grandi gruppi di alimenti

Ciò che tradizionalmente viene conosciuto come ‘’intolleranza alimentare’’ ha le radici della definizione in un insieme di sintomi e segni clinici che coinvolgono in primis l’apparato digerente (e soprattutto l’intestino) ma non solo: disturbi cronici dell’apparato cutaneo ed i suoi annessi, le carenze (con le proprie manifestazioni) del sistema immunitario, le varie patologie croniche infiammatorie muscolo-articolari, l’emicrania possono essere originate da una condizione di intolleranza dell’organismo verso uno o più alimenti.

Negli ultimi 15 anni, la ricerca scientifica ha continuato a far luce sull’argomento, innanzitutto confermando la classificazione e con essa la differenziazione delle reazioni avverse da cibo in 2 grandi classi: reazioni tossiche e reazioni non-tossiche.

Le reazioni non-tossiche comprendono la categoria delle allergie e quella delle reazioni di intolleranza, meglio definite come reazioni di infiammazione da cibo:

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https://www.farmaciapelizzo.it/news/allergia-intolleranza-infiammazione-da-cibo-quali-sono-le-differenze

Ad oggi, la ricerca scientifica ha fatto grandi passi avanti e il concetto di ‘’intolleranza alimentare’’ è stato revisionato ed aggiornato: nell’ottica delle ultime scoperte scientifiche viene espresso nella categoria delle reazioni avverse da cibo con manifestazioni infiammatorie da accumulo (come conseguenza alla costante ed eccessiva esposizione dell’organismo a certi tipi di alimenti).

 I grandi gruppi alimentari: perché si parla di gruppi di alimenti e non di ogni singolo alimento?

A rispondere a questa domanda vi stanno le evidenze scientifiche dagli studi clinici ed epidemiologici raccolti negli ultimi tempi a livello globale: prendendo l’esempio del latte, è stata confermata l’ipotesi secondo la quale la poca tollerabilità gastro-intestinale all’assunzione eccessiva e costante si estende non solo al mero consumo del latte ma a quello dell’intero gruppo di alimenti derivati dal latte (latticini, formaggi freschi e stagionati, panna, yogurt, burro ecc..anche se con diversi gradi di importanza riguardo all’infiammazione derivata).

L’errore in cui ci si imbatte valutando l’impatto di un solo alimento nella dieta consiste proprio nel fatto di non considerare la presenza dei derivati di quell’alimento anche negli altri cibi – siano freschi, semi-preparati o cotti; ancora di più se si parla della categoria degli additivi e conservanti.

Ad oggi, in Europa i grandi gruppi alimentari rilevanti per la valutazione del grado d’infiammazione da cibo sono considerati:

  • Frumento e cereali correlati
  • Latte e prodotti lattiero-caseari
  • Lievito e prodotti fermentati
  • Nichel e grassi idrogenati vegetali
  • Oli cotti

Di seconda importanza ma di impatto sempre crescente nella vita quotidiana c’è il gruppo dei salicilati naturali (che possono indurre reazioni come orticarie, riniti, eczemi, poliposi) e quello degli alimenti ad alto contenuto di sale (ad oggi poco rappresentato dal punto di vista epidemiologico, anche perché questi alimenti sarebbero già classificati in altre categorie).

Frumento e cereali correlati

In questo gruppo vi entrano a far parte i cereali quali frumento (il grano sia duro che tenero), orzo, faro, kamut, segale – in pratica tutti i cereali contenenti glutine; l’avena è considerata a parte, a scopo precauzionale (per rischio di contaminazione con altri cereali, durante l’elaborazione delle farine).

In una dieta alimentare e nutrizionale a riduzione/rotazione, per far rientrare la tolleranza al frumento e cereali correlati, si dovrà tener conto dell’assunzione di cibi quali

  • pane e prodotti da forno (pane bianco e integrale, grissini, fette biscottate, biscotti, dolci, brioches, prodotti di pasticceria, pizza, torte ecc)
  • paste alimentari (di casa o industriali)
  • crusca e preparati integrali misti come i mix di cereali per la colazione
  • vari preparati macrobiotici come semola, semolino, bulghur, cous cous; preparati per impanature; creme e salse industriali (di solito contengono varie farine come addensanti)
  • coperture o croste di formaggi teneri (brie, camembert ecc)
  • birra e whisky per alcuni tipi di malto

Per la sostituzione nella dieta di questi alimenti, vengono indicati cereali e leguminose quali riso, miglio, grano saraceno, mais, quinoa, amaranto, soia.

Latte e prodotti lattiero-caseari

La reazione alle proteine del latte e più in generale alle proteine di origine bovina consiste in risposte infiammatorie diffuse con coinvolgimento di tutto il corpo e non solo dell’apparato digerente. In questo gruppo di alimenti sono introdotti

  • latte (fresco e a lunga conservazione) e suoi derivati, anche quelli senza lattosio (yogurt, panna, burro, formaggi freschi e stagionati, latticini ecc)
  • prodotti di pasticceria (per possibile contenuto di proteine del latte come lattoalbumina, lattoglobulina, caseina)
  • salumi e insaccati contenenti additivi derivati del latte
  • prodotti confezionati per l’infanzia quali farine lattee, omogeneizzati, liofilizzati, pastine
  • prodotti iperproteici, dietetici e vitaminici contenenti caseinati, siero del latte, proteine del latte, lattosio

Lievito e prodotti fermentati

In questa categoria rientrano non solo i lieviti (di cui il lievito di birra è il più conosciuto) ma anche per estensione tutti i cibi ottenuti o sottoposti a fermentazione

  • tutti i prodotti lievitati da forno (pane e prodotti di panificazione in generale)
  • funghi (secchi o sott’olio)
  • tutti i formaggi sia freschi che stagionati
  • miele, yogurt (anche se da fermentazione naturale)
  • bevande fermentate (birra, vino, alcolici, tè)
  • condimenti (aceto, dadi, salse, maionese) e conservanti (come l’acido citrico ottenuto con la fermentazione delle mele)
  • tutti i cibi conservati a lungo (frutta e verdura tenute all’aria aperta per più giorni, la macedonia, gli avanzi da cucina anche se conservati in frigo ecc)

Nichel e grassi idrogenati vegetali

L’incidenza della cosiddetta intolleranza al nichel è aumentata esponenzialmente nell’ultimo decennio: ormai non più solo come reazione allergica o di iper-reattività cutanea (dovuta a contatto diretto come l’indosso di braccialetti, collanine, orecchini ecc) ma sempre più diffusa come reazione d’infiammazione intestinale ed extra-intestinale da accumulo; ancor più marcata negli ultimi tempi, per via dell’utilizzo di grassi idrogenati vegetali nella produzione alimentare industriale.

In questa categoria di alimenti sono introdotti

  • ortaggi, legumi, verdura e frutta (cipolle, spinaci, pomodoro, asparagi, rabarbaro, lenticchie, uva passa, prugne, pere, kiwi)
  • cacao
  • frutta secca e semi oleosi tostati o cotti (mandorle, nocciole, pistacchi, pinoli, arachidi, noci, sesamo, semi di lino, di zucca o di girasole)
  • margarine e grassi vegetali (largamente utilizzati come amalgamanti nell’industria alimentare)
  • il fumo di tabacco apporta ingenti quantità di nichel non solo a contatto diretto con il cavo orale ma soprattutto a livello polmonare da dove viene veicolato direttamente nel sangue

Oli cotti

Oggi si sa che la cottura di un olio modifica in varia misura la struttura degli acidi grassi che lo compongono: più alta è la temperatura della cottura, più alterazioni irreversibili si avranno nella composizione dell’olio. In una dieta alimentare restrittiva, lo specialista indicherà di tenere sotto controllo tutti i tipi di oli utilizzati in cucina, prediligendone l’utilizzo al freddo e preferendo per cucinare oli con alto indice termico (resistenti alla cottura).

 

*prelievo capillare; disponibile da lunedì a venerdì su appuntamento

*refertazione medica specialistica; tempi di attesa de referto 15 giorni

*costo 170€

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